17.2 Le attitudini femminili nel nuoto
In quasi tutte le discipline sportive uomini e donne gareggiano separatamente. Questo fatto potrebbe risultare ovvio dato che i maschi sono avvantaggiati, nei confronti del sesso debole, in quasi tutte le caratteristiche fisiche utili negli sport. Gli atleti, infatti, hanno una statura più alta, una percentuale di grasso inferiore, un massimo consumo di ossigeno più elevato e una maggior forza muscolare. Tutte queste caratteristiche naturali fanno sì che l'uomo risulti apparentemente superiore alla donna nelle prestazioni sportive. Va sottolineato, però, che una peculiarità dei soggetti femminili è quella di raggiungere molto più precocemente dei maschi il livello del massimo consumo di ossigeno per chilogrammo di peso corporeo. Se tale livello massimale nei maschi è raggiunto a 16-18 anni, le ragazze già verso i 12-14 anni arrivano al loro limite. Ecco perché nelle lunghe distanze del nuoto, nelle quali conta moltissimo il meccanismo aerobico, le migliori prestazioni sono ottenute appunto attorno al quattordicesimo anno di età.
Nel nuoto, e in particolare nelle specialità a stile libero, il distacco fra le prestazioni maschili e quelle femminili non è così rilevante come in altri sport, quali per esempio il salto in alto, in lungo, il lancio del peso, la corsa eccetera.
Se paragoniamo i primati mondiali femminili sulle varie distanze a stile libero con quelli maschili, notiamo che nei 100 metri la velocità media delle nuotatrici è inferiore soltanto del 9,9 per cento rispetto a quella dei maschi e che questo distacco diminuisce nei 400 stile libero addirittura al 6,5 per cento (figura 92).
Per spiegare questo "vantaggio" delle nuotatrici bisogna rifarsi a una ricerca, condotta in America nell'università di Buffalo, dal professor Di Prampero, che dimostra che le atlete spendono circa il 40 per cento di energie in meno rispetto ai nuotatori per compiere ciascun chilometro. Per giungere a questa conclusione il professor Di Prampero si è servito di una apparecchiatura consistente in pratica in un lettino immerso sott'acqua sul quale faceva sdraiare gli atleti per verificare la loro maggiore o minore facilità nel mantenere l'orizzontalità. Con questo esperimento ha appurato che gli uomini hanno una maggiore difficoltà nel "tenere" questa posizione; infatti, oltre ad avere un peso specifico del corpo più elevato, e quindi un minor galleggiamento, hanno anche gli arti inferiori più pesanti perché contengono una percentuale inferiore di grasso, soprattutto a livello delle cosce e dei glutei. Il nuotatore, pertanto, se vuole mantenere il corpo perfettamente orizzontale è costretto a battere maggiormente le gambe, con una conseguente spesa energetica maggiore, oppure a lasciare affondare gli arti inferiori, aumentando così la sua superficie corporea nell'acqua e diminuendo di conseguenza la sua idrodinamicità.
Bisogna tener presente, però, che la differenza uomo-donna risulta minima nelle gare a stile libero in cui la funzione del treno posteriore è prevalentemente stabilizzante e in particolare nelle distanze dai 200 metri in poi, nelle quali l'energia deriva, per la maggior parte, dai processi aerobici (tabella 10), mentre per gli altri stili questo discorso sembrerebbe non essere pienamente valido; si pensi in particolare alla rana, in cui l'uso propulsivo degli arti inferiori fa sì che la differenza fra la prestazione maschile e quella femminile sia massima, dal momento che, in quanto a forza, l'uomo è senz'altro superiore alla donna.
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