11.15 La resistenza
La resistenza viene solitamente definita come la capacità dell'organismo di lavorare a lungo resistendo alla fatica. Secondo Dietrich Harre la resistenza può anche essere definita così: "Nell'attività sportiva s'intende per resistenza la capacità dell'organismo di resistere contro la stanchezza in esercitazioni di lunga durata".
Secondo Morehouse e Miller, invece: "La resistenza può essere considerata come la capacità che il corpo possiede di tener duro di fronte agli stress imposti dalla prolungata attività".
Secondo Zaciotskij, infine: "Per resistenza s'intende la facoltà di svolgere per lungo tempo una qualsiasi attività, senza che si determini un calo della sua efficacia. In altri termini la resistenza può essere intesa come facoltà di contrastare l'affaticamento".
Molto più articolato è, invece, quello che sostiene il professor Arcelli: "La resistenza è una qualità atletica che incide sulla prestazione degli atleti di molti sport: è fondamentale in alcune discipline sportive (corse medie e lunghe nell'atletica leggera, molte prove di nuoto e nel ciclismo) ed è importante ma non prioritaria in altre (come per alcuni giochi di squadra).
Nel nuoto, nel quale è una qualità fondamentale, per resistenza si può intendere la capacità di fornire la massima quantità di lavoro relativamente a:
a) il tempo di esecuzione: esso può variare da alcune decine di secondi (prove sui 25 metri), fino a molte decine di minuti e più (gare di fondo, 800 e 1500 metri);
b) le masse muscolari interessate, che nel nuoto costituiscono una percentuale minima rispetto all'intera massa muscolare".
Fra i vari fattori che intervengono nel determinare la resistenza di un atleta, comunque, si possono distinguere:
1. Quelli in virtù dei quali avviene l'utilizzazione dell'energia;
2. Quelli che rendono disponibile tale energia.
Riguardo all'utilizzazione dell'energia, la prestazione dell'atleta resistente dipende in parte dal rendimento meccanico, il quale a sua volta è determinato da fattori tecnici, stilistici, antropometrici e, in parte, da varie caratteristiche anatomiche-funzionali. Per quello che riguarda, invece, la disponibilità dell'energia che permette al muscolo di contrarsi, si ritiene che tale disponibilità sia fortemente correlata ai livelli di efficienza degli apparati respiratorio, cardiocircolatorio, nonché dall'apporto di sangue ai muscoli che intervengono nel gesto specifico, nel nostro caso nella nuotata. Inoltre la resistenza dipende dai meccanismi energetici aerobici e anaerobici-lattacidi. A seconda della durata dell'esecuzione dell'esercizio fisico, infatti, diventa più importante o il meccanismo aerobico di produzione di ATP, o il meccanismo lattacido, oppure entrambi. Se la velocità alla quale si nuota è bassa, il muscolo produce con il meccanismo aerobico tutto l'ATP che gli serve. A mano a mano che aumenta l'intensità dello sforzo a cui è sottoposto, aumenta anche la richiesta energetica, cioè la quantità di "benzina" (ATP) che il muscolo consuma per ogni minuto; parallelamente aumenterà anche il consumo di ossigeno, perlomeno fino a un certo livello, quello al quale corrisponde il massimo consumo di ossigeno proprio di quel muscolo. Aumentando la velocità di nuotata, per poter aumentare la produzione di ATP necessario a soddisfare completamente la richiesta energetica, il muscolo dovrà ricorrere al secondo meccanismo, quello anaerobico lattacido. Riassumendo: quando il nuotatore va piano i muscoli producono tutto l'ATP con il meccanismo aerobico; aumentando la velocità, però, alcuni muscoli - quelli che lavorano più intensamente - quindi quelli degli arti superiori e del cingolo scapolo-omerale, riprodurranno acido lattico e, quando questa sostanza si accumula nella fibra muscolare a una concentrazione elevata, il nuotatore sarà costretto a fermarsi o a ridurre notevolmente la sua velocità (figura 42).
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